IL LUTTO

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Dottoressa Erica Brasini

Psicologa - Psicoterapeuta

IL LUTTO

Inizio questo articolo con una breve storia che arriva a noi da un Paese lontano…

C’era una volta una giovane madre di un piccolo bambino, un giorno il piccolo morì e la donna distrutta dal dolore, iniziò ad andare di casa in casa cercando una medicina che potesse restituire la vita al figlio. Ovviamente non riuscì a trovare nulla e sempre più afflitta si recò dal Buddha e chiese anche a lui un rimedio. Il Buddha disse alla giovane madre di scendere in paese e prendere un seme di sesamo in ogni casa che non avesse mai incontrato la morte. Credendo che questo fosse il rimedio, la giovane bussò di porta in porta e chiese di casa in casa, senza poter raccogliere nessun seme. Mentre tornava dal Buddha a mani vuote, si rese conto che la morte era comune a tutti e che ciò che le stava capitando era già capitato o primo o dopo a tutte le altre persone.

Con la parola lutto, dal latino luctus-pianto e lugere-piangere ed essere in lutto, si intende sia la reazione emozionale che si sperimenta quando perdiamo una persona significativa della nostra esistenza, sia il tempo che segue alla sua morte. Chiunque venga a mancare, si tratti di un figlio, un coniuge, un amico, un genitore, un fratello, un nonno, un animale a noi caro, sentiamo di aver perso una parte di noi stessi e sperimentiamo un periodo di sofferenza e difficoltà.

Il lutto è il processo fisiologico di adattamento alla perdita di un legame, il lavoro svolto nell’elaborazione del lutto è lento e doloroso e comporta un graduale abbandono, un processo lineare anche se nel suo percorso a volte si ricade in momenti bui. Nonostante la morte faccia parte del vivere, nessuno mai realmente è preparato ad affrontarla; di fronte al lutto la nostra vita sembra cambiare direzione, si avverte uno strappo da un prima dell’evento ad un dopo l’evento. Perché ci sia separazione occorre che qualcuno non si voglia separare e da qui nasce il conflitto e lo strappo della separazione, ma la perdita è per l’uomo un destino ineluttabile in ogni tappa della vita; si pensi che più di alcuni mesi nell’utero materno non si può stare, trascorsi i quali scatta l’ora di uscire e da questa in poi le perdite si susseguono una dopo l’altra, incalzanti, fino ad una grande perdita che è la morte. Viviamo perdendo e lasciando andare, la perdita è una condizione che ritroviamo e dura per tutta la vita. Di conseguenza il lutto è un meccanismo fisiologico, alla base dello sviluppo evolutivo e non dovrebbe essere in alcun modo ostacolato, esso assume il compito ingrato di far staccare gli uomini da chi/cosa era stata meta di forti investimenti. Il modello di elaborazione del lutto nell’adulto (che si diversifica da quello del bambino), che ho scelto di illustrare,  è quello di J. Bowlby, qui vengono evidenziate tre fasi che normalmente si completano dopo circa un anno, esse sono:

La fase di shock e incredulità,  si piange e ci si dispera oppure si resta immobilizzati e ammutoliti, la mente stordita ha un’oscura sensazione di perdita, ma mentre il nostro intelletto cercherà di ammettere la perdita, tutto il resto di noi cercherà energicamente di negarlo, lo shock infatti si associa a un meccanismo difensivo di negazione “non può essere successo..”

La seconda fase e quella del dolore, rabbia, disperazione, sensi di colpa e abbassamento dell’umore, è la più lunga e si caratterizza per il pianto, l’instabilità emotiva, i disturbi fisici, il letargo o l’iperattività, la regressione, l’angoscia di separazione. Alcune persone sono distaccate e controllate, altre piangono e si disperano, altre ancora vogliono stare da sole, o preferiscono una compagnia costante, c’è chi ne parla e manifesta i proprio sentimenti e c’è chi si isola ed evita l’argomento, in alcun casi si manifesta distacco e iper controllo, altri pur nel dolore più estremo cercano di rassicurare i propri cari, molti invece eliminano le cose che appartengono al defunto, diverse altre le conservano immutate per anni, talune vanno ogni giorno al cimitero e altre ancora lo rifuggono totalmente. Tutto diventa difficile soprattutto il rientro a casa e nei luoghi del quotidiano, ciò che era valido ieri ora non lo è più. Il dolore e il vuoto che si percepisce possono essere in parte leniti da gesti simbolici, da veri e propri riti che celebrano un ricordo della persona amata, ad esempio coltivare le sue piante, cucinare il suo piatto preferito, riguardare vecchie foto, video o oggetti cari al defunto, osservare le date importanti come anniversari o compleanni. Questi gesti rinforzano il legame, lo rinnovano, danno un preciso spazio al defunto, permettono di andare avanti senza lasciare nulla in sospeso. Non bisogna bloccare né giudicare questa ritualità, perché sentire l’esigenza di mantenere il legame è assolutamente legittimo e in molti casi terapeutico; nasce così una nuova modalità di comunicazione con il nostro caro, un modo per sentirlo ancora parte della nostra vita. Gesti e linguaggi diversi, esigenze diverse e tempi di recupero diversi, queste diversità però a volte generano incomprensioni anche all’interno della stessa famiglia.

La terza fase è dell’accettazione. La dimensione del tempo è molto importante nel lutto, all’inizio il tempo è come sospeso, ogni giorno è uguale all’altro, poi confusione, la frattura tra passato e presente proietta come un cono d’ombra sul futuro percepito come incerto e la mente salta tra i ricordi piacevoli vissuti con il defunto e il ricordo angosciante della sua morte. Infine c’è un tempo ritrovato cioè la perdita si integra nella vita, si colloca nel passato e s’inizia ad intravedere il futuro. Si accetta nonostante i sogni e le fantasie che il nostro caro non tornerà più, attraverso l’interiorizzazione egli diventa parte del nostro mondo interiore, quindi non lo perderemo mai.  Anche se vi saranno ancora volte in cui lo si piangerà, sentendone la mancanza, giungiamo a un grado significativo di adattamento, recuperiamo stabilità, speranza, energia, capacità di fare investimenti nella vita per poter sopravvivere, modifichiamo il nostro comportamento e le nostre aspettative, assistiamo a un cambiamento ad una crescita.

Ci sono diversi fattori che influenzano l’elaborazione del lutto:

la dimensione soggettiva, cioè la nostra storia precedente fatta di punti di forza di fragilità, dà come percepiamo le perdite, dalla nostra età e maturità, dalle nostre risorse interne, dal nostro momento storico, da quando eravamo preparati, dalle nostre risorse, dal ruolo ricoperto all’interno della famiglia, il grado di parentela, la qualità della relazione, le caratteristiche psicologiche personali.

Il modo in cui si avvia un lutto, perché come muore il caro fa la differenza, cioè se si tratta di perdite annunciate come patologie cronico-degenerative, pazienti neoplastici, etc., oppure se si tratta di una perdita improvvisa e imprevista, senza preavviso, come succede negli incidenti, nelle morti cerebro-vascolari, suicidio, omicidio, etc. Inoltre a seconda di chi perdiamo cambiano molto gli effetti della perdita; la perdita di un coniuge non sarà vissuta come la perdita di un figlio, che sarà diversa da quella di un genitore e così via dicendo.

Il contesto sociale, l’atteggiamento di accoglienza o di censura dell’ambiente familiare e amicale, nei confronti delle manifestazioni della sofferenza influenza chiaramente il risultato dell’elaborazione del lutto; influisce sul concetto di morte anche la situazione culturale in cui viviamo noi dei Paesi sviluppati, nella nostra attuale cultura già è tabù invecchiare ancora peggio parlare della morte, il concetto di morte appare distante e non siamo più collegati con gli aspetti reali e naturali di esso.

Le fasi del lutto sono caratterizzate da emozioni diverse, repentine, profonde, ogni fase è finalizzata all’elaborazione delle emozioni che vanno colte senza critiche, non vanno bloccate cercando di distrarre chi le sta vivendo, vanno espresse non censurate, infatti non si  può superare un dolore così intenso contenendo le emozioni, una sana elaborazione non avviene mai a livello razionale con frasi del tipo “devi fartene una ragione”. Si cresce se si soffre, se si perde, se non si nasconde la testa sotto la sabbia ma si impara ad accettare il dolore non come una punizione ma come qualcosa che ha uno scopo ben preciso. Si può dire di aver elaborato il lutto positivamente quando  dopo alcuni mesi/un anno riusciamo a ripercorrere le immagini, i sentimenti, le emozioni, i ricordi legati alla persona amata, con l’obiettivo di integrare la sua storia e la sua morte nella nostra esistenza, di dargli una nuova collocazione, trovare un nuovo modo di amarlo e di stare con lui. Lentamente ci si adatta alla presenza di questa assenza. Il lutto diventa il passaggio dall’amare qualcuno in presenza all’amarlo in assenza, elaborare è ricordare, è un passare attraverso la perdita, integrandola nella nostra vita e restituendo alla persona il suo posto speciale nel passato, nel presente, nel futuro. Entriamo così in un nuovo percorso esistenziale, se riusciamo a dire addio al defunto sicuri di non dimenticarlo, il passato e presente si riconnettono…allora il nostro futuro costruirà il presente e metterà a posto il passato.

Anche se generalmente il lutto viene elaborato correttamente, alcune caratteristiche personali di chi lo subisce possono influenzare negativamente l’elaborazione di questa esperienza e se ciò avviene allora il processo diventa patologico. Nel lutto cronico o patologico, non viene superata la seconda fase, cioè si resta invischiati  in uno stato di dolore intenso, di rabbia, di sensi  di colpa e diventa poi patologico quando non si può o non si vuole lasciare andare la sofferenza o anche al contrario quando il lutto non viene affrontato ma rinviato nello sforzo di evitare il trauma della perdita. Sono stati identificati 3 principali tipi di lutto che potrebbero protendere a divenire patologici: la perdita traumatica, il lutto conflittuale e il lutto cronico. Per perdita traumatica si intende la morte di un figlio, le perdite multiple simultanee o a breve distanza, una morte improvvisa e traumatica. Il lutto conflittuale consiste di un’ulteriore perdita quando già sono in essere precedenti lutti non risolti, oppure preoccupazioni date da problemi finanziari, o relazione negativa e conflittuale con la persona deceduta.  Infine il lutto cronico che insorge per solitudine e mancanza di sostegno emotivo, relazionale, spirituale, oppure se la persona che ha subito il lutto possiede un’alta vulnerabilità psicologica e contemporaneamente non abbia molte competenze sociali, per elaborare e fronteggiare adeguatamente l’evento traumatico; in questo caso possono insorgere patologie psichiche come la depressione o sintomi ipocondriaci che tendono a somigliare ai sintomi della malattia di chi è morto.

Quando il processo di adattamento subisce impedimenti con un elevato livello di sofferenza e instabilità del dolore, in questa circostanza chiedere aiuto non significa essere deboli ma saggi, significa prendersi cura di noi.

Dedicato a tutti noi, perché tutti noi abbiamo perso qualcuno…

Il sostegno alla genitorialità

Il sostegno alla genitorialità è un percorso mirato a sostenere e orientare i genitori nel rapporto genitori-figli, quando: si sentono in difficoltà rispetto ad alcuni atteggiamenti e comportamenti dei propri figli, durante alcune delicate fasi dello sviluppo dei figli, nel loro quotidiano lavoro di educatori, ma anche di fronte a situazioni di devianza o di particolare problematicità dell’adolescente. In tali contesti, lo psicoterapeuta con il bagaglio tecnico che gli sono propri, diviene un utile strumento per sostenere e accompagnare il genitore e/o il figlio durante la crescita.

 

La mediazione familiare si rivolge alle coppie in fase di separazione, soprattutto quando sono presenti dei figli. Lo psicoterapeuta ha il compito di aiutare a rendere la coppia capace di condividere responsabilmente la co-genitorialità, la rende capace di gestire la crisi per poter così trovare soluzioni reciprocamente soddisfacenti per sé e per i loro figli, per far si che essi subiscano il meno possibile la difficoltà che la situazione porta.

 

La terapia familiare ha come obiettivo finale la soluzione dei problemi o dei conflitti esistenti nel nucleo familiare, favorire la ricerca di nuove e più funzionali modalità di comunicazione e ascolto fra i componenti della famiglia e facilitare l’esprimersi dei bisogni emotivi fra i componenti.

Tecniche di rilassamento ed ipnosi

Le tecniche di rilassamento sono diverse e si adottano allo scopo di regolare e imparare a gestire gli stati ansiosi e/o lo stress. Le tecniche principali che adotto sono:

Il Training autogeno di Schultz: training mentale e fisico che gestisce lo stato di tensione attraverso immagini mentali, sensazioni di calore auto indotte, etc.

Il Rilassamento Muscolare Progressivo di Jacobson: training muscolare che si focalizza sulla tensione percepita al livello dei muscoli

Le tecniche respiratorie o diaframmatiche

Le tecniche basate su mindfulness e meditazione

Meditazione “classica”

Rilassamento immaginativo

E altro…

 

L’ipnosi Ericksoniana viene adottata come tecnica di rilassamento e come ipnoterapia, importante strumento terapeutico, utilizzato quando la persona ha necessità di lavorare su se stessa in modo approfondito, per arriva a parti di sé che in stato di coscienza sono precluse. Con l’ipnoterapia si riescono ad aggirare le resistenze consce per arrivare nel modo più “dolce” possibile, al riconoscimento e all’elaborazione della problematica, senza barriere che impediscono di farlo.

TERAPIA DI COPPIA

La terapia di coppia aiuta la coppia a gestire i conflitti. Il compito dello psicoterapeuta è quello di fare acquisire alla coppia funzionali modalità di interazione, ottenendo una maggiore capacità di ascolto e comunicazione con il partner. Durante gli incontri lo psicoterapeuta non dà giudizi e non è di parte ma ha il compito di mediare, di stimolare entrambi i componenti della coppia per aiutarli a prendere realmente coscienza l’uno dell’altro, dei loro reciproci pensieri e sentimenti, eliminando le eventuali difficoltà di comunicazione e i “giochi psicologici” che inconsapevolmente mettono in atto creando barriere e automatismi che agiscono negativamente nel dialogo e nelle azioni e di conseguenza nella relazione. Qualsiasi coppia ha momenti di tensioni, più o meno forti ma superabili se si sanno gestire.

Ipnosi

PSICOLOGIA E LE FIGURE CORRELATE:

PSICOLOGO, PSICOTERAPEUTA, PSICOANALISTA, PSICHIATRA

 

In questo articolo farò un brevissimo cenno alla psicologia, dalla sua nascita al suo sviluppo nel tempo, e cercherò di chiarire le differenze esistenti fra le figure professionali che ruotano attorno alla psicologia.

Il termine Psicologia deriva da “Psiche” che in greco antico significa “anima” cioè vita, respiro, soffio vitale e sede dei sentimenti; ha origine in Grecia grazie a filosofi come Aristotele e Platone che per primi si posero degli interrogativi sul funzionamento della mente. Con il tempo il termine psiche fu diviso da anima e le due parole assunsero due significati diversi; con psiche si intende la parte mentale dell’uomo mentre con anima si indica la sua parte spirituale. Quella che tutti noi oggi conosciamo come psicologia, incuriosisce l’uomo da sempre e ha richiamato nei secoli l’attenzione e lo studio di filosofi, medici, biologi, fisici. Fra il 1850 ed il 1870 diversi studiosi si occuparono dello studio delle emozioni, delle sensazioni, delle attività intellettive, applicarono allo studio della mente le metodologie che già applicavano alle scienze naturali; fecero questo senza rendersi conto che stavano avvicinando la psicologia ad una scienza. Riuscì in questo il filosofo-fisiologo, tedesco W. Wundt che nel 1879 grazie agli esperimenti che condusse nei suoi laboratori di Lipsia, dimostrò attraverso risultati che si sono dimostrati concretamente ripetibili (la ripetibilità dei risultati è indispensabile perché una qualsiasi area possa essere considerata scientifica), che la psicologia è una scienza, la scienza che studia il comportamento umano. Di seguito elenco solo alcuni degli ambiti di studio e di approfondimento della psicologia, essi sono: la memoria, l’intelligenza, l’apprendimento, la comunicazione, le emozioni, l’affettività, la motivazione, la frustrazione, l’aggressività, il conflitto, l’attenzione ed ancora la personalità, le relazioni, etc.. La disciplina della psicologia è rivolta alla persona, al gruppo o alla comunità. Ad oggi la definitiva definizione di psicologia è: la scienza che studia la psiche nei processi psicologici  sia inconsci che consci, attraverso i quali una persona costruisce le proprie risposte comportamentali.

La psicologia come scienza è recente, nasce appunto poco più di un secolo fa ma da allora gli studi sono proseguiti ininterrottamente in varie parti del mondo, con ricercatori e psichiatri più o meno conosciuti; gli studi si svilupparono ed sono proseguiti in varie correnti di pensiero e orientamenti, ma la cosa che comunque accomuna tutti è il senso della psicologia che studia il comportamento umano e che cerca di comprendere e interpretare i processi mentali, affettivi e relazionali che lo determinano con lo scopo di promuovere il miglioramento della qualità della vita.

 

Ora vorrei fare chiarezza sulle varie competenze delle figure professionali “autorizzate” che lavorano in ambito psicologico, dato che da sempre riscontro dalle domande fatte dai miei pazienti che c’è molta confusione fra: psicologo, psicoterapeuta, psicanalista, psichiatra.

 

Per diventare psicologo prima si ottiene la laurea in psicologia e successivamente ad un tirocinio formativo di un anno, si sostiene l’esame di Stato per abilitarsi all’esercizio della professione di psicologo previa iscrizione all’Albo Professionale degli Psicologi della Regione. Un dottore in psicologia che non ha effettuato il regolare tirocinio e non ha superato le prove previste per l’esame di stato, non è di fatto uno psicologo e non può esercitare la professione di psicologo. L’operato dello psicologo è regolato dal codice deontologico che ne definisce limiti e doveri e consiste nel somministrare test e fare diagnosi, promuovere il benessere della persona, dando al paziente maggiore capacità e consapevolezza per comprendere sé stesso e gli altri attraverso colloqui psicologici; può inoltre offrire consulenza e supporto psicologico a tutti coloro che presentino un disagio o un problema che non presenti i sintomi di un disturbo psicopatologico, perché lo psicologo NON può trattare disturbi psicologici o psichiatrici, questo lo può fare solo uno psicoterapeuta. In ogni caso lo psicologo non essendo un medico non può prescrivere farmaci.

E’ psicoterapeuta, il professionista che dopo essersi laureato in psicologia e aver percorso tutto l’iter per diventare psicologo, segue un percorso almeno quadriennale, presso una scuola di specializzazione universitaria o comunque riconosciuta dal MIUR per acquisire una specifica formazione post-laurea (possono seguire la specializzazione post laurea in psicoterapia anche i medici). Quello di “psicoterapeuta” è dunque un titolo aggiuntivo a quello di psicologo.

Lo psicoterapeuta può fare tutto ciò che fa lo psicologo, in più ha competenze e conoscenze maggiori otre a strumenti psicoterapici che consentono di trattare, i disturbi psicopatologici, mirando a ridurre la sofferenza del paziente agendo sui meccanismi psichici e comportamentali sottostanti al problema. Questa specializzazione prevede anche una formazione pratica continuativa e la supervisione del terapeuta da parte di colleghi psicoterapeuti. Nell’ambito della psicoterapia vi sono molti approcci, che prevedono teorie e metodi diversi tra loro, dalla psicoanalisi, alla terapia sistemico-familiare, alla terapia cognitivo comportamentale, etc.

Lo psicanalista è uno psicoterapeuta che esercita la propria pratica clinica basandosi su un preciso approccio quello psicoanalitico. La psicoanalisi affonda le sue radici nella teoria Freudiana e si distingue enormemente dalla psicoterapia per le regole del setting, dove per setting si intende sia l’arredo dello studio, sia l’orientamento terapeutico, frequenza e numero di sedute, l’approccio e la relazione che il terapeuta instaura con il paziente. Senza stare ad elencare nel dettaglio tutte le differenze, le più importanti che si evidenziano in psicoanalisi rispetto alla psicoterapia sono: in psicoanalisi la durata del percorso è nettamente più lunga e di norma necessita di un maggior numero di sedute settimanali rispetto alla psicoterapia. Inoltre c’è molta differenza fra la modalità di approccio psicoterapico e relazione fra terapeuta e paziente; in psicanalisi il rapporto tra il professionista ed il paziente è rigorosamente formale, la comunicazione è quasi esclusivamente unidirezionale da parte del paziente che viene stimolato alla conversazione dallo psicanalista che raramente interviene nella seduta; altra differenza sostanziale è che nella psicoanalisi non vengono adottati/insegnati strumenti pratici.

Lo psichiatra è un laureato in medicina e chirurgia con specializzazione post laurea in psichiatria. La psichiatria è la branca specialistica della medicina che si occupa della diagnosi, della cura e della riabilitazione dei disturbi mentali e dei comportamenti patologici. Valuta la sintomatologia e il decorso clinico e propone una cura che può indirizzarsi verso un intervento farmacologico e/o psicoterapeutico. La legge italiana consente agli psichiatri di avere il titolo di psicoterapeuta su semplice richiesta all’Ordine professionale ma questo di fatto non garantisce, come invece è per gli psicoterapeuti che lo psichiatra-psicoterapeuta abbia frequentato una scuola di specializzazione quadriennale in psicoterapia, in pratica è libero di esercitare come psicoterapeuta senza aver effettuato un percorso formativo, ma questo si rimanda a coscienza sua. Lo psichiatra dato che è un medico può prescrivere farmaci generici e/o psicofarmaci e richiedere e valutare esami clinici.

A questo punto dell’articolo una domanda sorge spontanea…a chi ci si deve rivolgere in caso di un problema? Si contatterà lo psicologo se il problema si manifesta con un disagio che non presenta una sintomatologia invalidante e può bastare la consulenza. Si dovrà contattare uno psicoterapeuta, qualora invece il disagio psicologico si presenti con sintomi, più o meno invalidanti, o si presenti un disturbo psichico, o un disturbo psicopatologico. Lo psichiatra sarà contattato quando un disturbo psichico influisce negativamente sul funzionamento della persona a livello sociale e lavorativo, presentando una sintomatologia pesante e il paziente non riesce a lavorare su se stesso,  necessitando di un trattamento farmacologico, che sarà necessario sia per alleviare il grado di sofferenza che per ristabilire le condizioni necessarie e sufficienti per il lavoro psicoterapeutico. Psichiatra e psicoterapeuta lavorano su facce diverse della stessa medaglia, ciascuno con le proprie competenze. In un’ottica di interrelazione mente-corpo, l’ottimale è che lo psichiatra e lo psicoterapeuta lavorino in stretta collaborazione, uno per ristabilire l’equilibrio fisiologico della persona, l’altro per ristabilire l’equilibrio psicologico.

 

PSICOTERAPIA INDIVIDUALE

La psicoterapia individuale si adotta per risolvere la problematica e/o la sofferenza della persona che se trascurata va poi a compromettere la qualità di vita. Il mio metodo di lavoro prende in esame sia la persona nella propria dimensione individuale, sia l’ambiente che la circonda cioè il contesto sociale e le relazioni con altre persone in diversi contesti di vita (famigliare, affettivo, lavorativo, sociale), questo è molto importante per avere un più ampio livello di osservazione, sul quale impostare al meglio il percorso terapeutico e raggiungere il benessere della persona. Personalmente adotto più metodi terapeutici, prevalentemente l’orientamento Sistemico Relazionale ma anche il Cognitivo-Comportamentale, la PNL, l’Ipnositerapia e altro, a seconda del caso e nel rispetto dell’unicità di ogni persona.

La consulenza  si adotta per risolvere situazioni di difficoltà che generalmente hanno una natura momentanea e transitoria ma che se non elaborate correttamente, rischiano di consolidarsi, generando stati di blocco e malessere, compromettendo il benessere personale e la qualità della vita. Si accompagna la persona in passaggi particolarmente delicati, aiutandola ad orientarsi in vista di scelte importanti.

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