RAPPORTO PADRE-FIGLIO
Alla nascita del bambino, per via dell’accudimento e delle cure di cui il bebè necessita da parte della madre, viene considerato di maggiore importanza il rapporto madre-figlio e il padre erroneamente viene messo in secondo piano, quando invece anch’egli come la mamma è una figura indispensabile per la corretta crescita del bambino, perché il padre è il primo modello maschile di riferimento! Un padre fin dai primi giorni di vita del bimbo, non deve essere solo presente fisicamente ma deve avere i suoi spazi relazionali con il figlio per poter instaurare un rapporto sano e stabile, in modo tale che il bambino potrà diventare un adulto sereno. Occorre anche considerare però che fra padre e figlio si istaura fin da subito conflittualità con sentimenti contrastanti; il figlio potrebbe voler assomigliare a lui o essere totalmente diverso da lui, fino a trovare poi un equilibrio in età adulta. E’ necessario seguire il proprio figlio nelle varie tappe evolutive.
Ma quali sono le fasi di sviluppo e come un padre può approcciarsi al meglio con il figlio?
La prima fase va dalla nascita ai 3 anni e malgrado l’attaccamento esclusivo madre-bebè, il padre comunque deve da subito assumere un ruolo importante e attivo nella crescita del figlio in quanto il “rapporto” si costruisce fin dalla tenera età. Il bambino fin dalla nascita entra in relazione con il papà, attraverso la sagoma, gli odori, il modo in cui lo tocca; avverte il padre ancora prima di averne una concreta percezione visiva. La comunicazione primaria avviene attraverso il modo in cui lo abbraccia e lo culla, attraverso i gesti, da come lo cambia, da come gioca con lui, da come gli parla, etc, sono tutti gesti e comportamenti corporei che se fatti con amore e delicatezza costituiscono una comunicazione positiva, perché il padre esprime emozioni positive verso il figlio. In questa fase un altro dei compiti del padre è quello di favorire la serenità della madre quando dovrà, come è il naturale processo evolutivo, distaccarsi dal figlio e parallelamente favorire l’emancipazione di quest’ultimo in maniera graduale.
La fase successiva è quella prescolastica che va dai 3 ai 6 anni, il padre in questa fase oltre ad essere sempre positivamente presente per il figlio, deve avere un ruolo ludico e giocare in modo costruttivo e stimolante con lui. Detto questo, volevo citare una ricerca condotta fra i Paesi Europei da cui emerge che i padri italiani siano all’ultimo posto a livello di quantità di tempo dedicato al gioco con i figli, con una media di soli 15 minuti al giorno trascorsi con loro, preferendo al ritorno dal lavoro sedersi davanti alla tv, giocare con videogiochi o navigare sui social network, questa purtroppo è una triste realtà che riscontro molto spesso. Inoltre sempre in questa fase il padre deve iniziare ad essere normativo, impartendo regole ed educazione. Se questo rapporto viene vissuto positivamente il bambino riesce a distaccarsi dalla madre con la quale fino a quel momento ha vissuto in modo simbiotico senza particolari traumi e impara a relazionarsi in modo sereno ed equilibrato con il mondo esterno, perché il padre inizierà a dare un senso di sicurezza materiale ed emotiva, fungerà da scudo nella sperimentazione del mondo da parte del bambino, mondo da scoprire fra curiosità e paure. Se queste dinamiche vengono a mancare a causa di un padre assente o debole, il bambino potrebbe crescere vulnerabile e spaesato davanti al mondo minaccioso.
La terza tappa va dai 7 ai 10 anni, in questa fase il papà aiuta il figlio a distinguere il bene e il male, trasmettendo i criteri di valutazione; la prima lezione che riguarda la moralità si forma non attraverso le parole ma tramite gli esempi che papà riporta, quindi occorre essere molto attenti a come ci si comporta. Un esempio di tutti i giorni: se in casa si sente il padre usare turpiloqui cioè “parolacce” il figlio si sentirà legittimato ad usare gli stessi termini. Con il suo esempio il padre avrà dato il tacito consenso al figlio di comportarsi nello stesso modo e l’unica maniera di tornare indietro è che il papà inverta la sua condotta, dando esempi diversi. Il padre deve essere una figura presente, quando serve anche autorevole ma mai autoritaria, per lasciare al bambino autonomia di scelta; non deve essere un amicone ma nemmeno un padre padrone. Inoltre molto importante parlare ed ascoltare il proprio figlio, in modo da creare le fondamenta per un dialogo anche nel periodo dell’adolescenza.
La fase dai 10 ai 18 anni prevedono l’età puberale e adolescenziale, di solito la fase più difficile sia per il genitore che per il ragazzo. In questa fase continua la parte normativa del padre, continua oltre che con gli esempi in modo verbale anche in modo più tangibile a far capire al figlio cosa è giusto e cosa sbagliato, a fargli capire le regole di vita e i valori. Dovrà premiare il figlio quando si comporta bene così da incentivarlo ai comportamenti corretti e quando sbaglia lo può sì punire ma mai giudicare. Il padre deve cercare di instaurare un buon rapporto dove ascoltare il figlio senza essere né giudicante né svalutante, trasmettendo fiducia e sicurezza per poter ottenere un’apertura di dialogo, dato che in questa fase di vita i figli tendono ad interiorizzare e non esprimere, in modo tale da poter parlare insieme di tutte le situazioni, delle preoccupazioni, dei problemi, dei sentimenti che il ragazzo prova. Il figlio abituato a parlare con il padre, troverà in lui, genitore dello stesso sesso, un confidente, qualcuno con cui confrontarsi e la conflittualità che scaturisce in questa fase di vita, servirà alla ricerca del sé e allo sviluppo della propria autonomia, non più solo nelle vesti di figlio ma anche di persona. Quando il figlio avrà trovato il proprio sé, le situazioni di conflitto tra padre e figlio tenderanno a scemare, raggiungendo una comunicazione matura da “uomo a uomo”.
Dopo i 18 anni il rapporto padre figlio è oramai stabile e sviluppato nel bene o anche nel male, a seconda di come si “è seminato”.
Un padre deve evitare alcuni comportamenti che ledono il rapporto e la sana crescita del figlio, quali:
Umiliare e sottolineare fallimenti e aspetti negativi del figlio, senza mai riconoscere le sue potenzialità presenti. In questo modo provoca un danno allo sviluppo dell’autostima, creando una profonda svalutazione personale nel bambino poi ragazzo, creando in lui la sensazione di non essere mai all’altezza della situazione o capace di affrontare le sfide della vita.
Non dovrà essere esageratamente autoritario, certo occorre come precedentemente detto che sia normativo e dia delle regole, ma l’eccessiva rigidità e disciplina, accompagnate da punizioni esagerate porta il figlio ad allontanarsi da lui.
Il padre non deve mostrare e proiettare al figlio le sue ansie e le sue insicurezze, perché questo rischia di essere tradotto dal bambino nella paura costante di tutto, provocando timori e insicurezze profonde e difficilmente rimovibili.
Non si deve essere padre chioccia, esageratamente attenti e protettivi e voler occuparsi di tutto ciò che riguarda il figlio, prevenire o risolvere qualsiasi problema del bambino, perché così facendo si impediscono il processo di sviluppo dell’autonomia del figlio, rendendolo debole rispetto alla vita che dovrà affrontare.
Evitare di essere un padre incoerente e imprevedibile, cioè prima permettere poi proibire la stessa azione o viceversa, in questo modo non si garantisce al figlio una sensazione di sicurezza in quanto non saprà mai cosa aspettarsi e tenderà a difendersi e fuggire.
Infine un padre non dovrà mai e poi mai criticare la madre davanti al bambino, perché il figlio imparerà nel crescere a non rispettare non solo la mamma ma il sesso femminile in generale, con gravi ripercussioni sul suo senso di famiglia.
In conclusione è bene dire che non esistono ne padri ma nemmeno madri perfette ma tuttavia è possibile sempre fare del proprio meglio attraverso l’impegno, il senso di responsabilità, il buon senso, la lungimiranza e tanto tanto amore.