TARANTISMO E TRANS: RITO DI GUARIGIONE DEL TARANTISMO
Ho pensato di scrivere questo articolo prima di tutto perché da poco è terminata l’estate e con essa le vacanze, vacanze trascorse da molti in Puglia dove da diversi anni nella zona del Salento nel mese di agosto si svolge il festival itinerante della taranta, che io consiglio vivamente almeno una volta di andare a vedere e vivere, poi perché amo molto il ballo della taranta e la sua origine mi ha sempre incuriosita e affascinata.
Il ballo ludico della taranta, ha origine dal “tarantismo”, fenomeno nato in Puglia, tipico delle campagne di una zona del Salento (la Grecia salentina), composta da nove piccoli comuni in provincia di Lecce con a capo Galatina. Questo rito viene praticato nell’Italia meridionale dal Medioevo e visse un florido periodo fino al 1700, seguito poi da un lento declino per ciò che riguarda la sua funzione originale. La taranta richiama da molto tempo l’interesse di antropologi, sociologi, psicologi, psichiatri, teologi e questo interesse non accenna a diminuire, visto il fenomeno culturale chiamato neo-tarantismo che ha ormai un’ampia diffusione ben oltre i confini della Puglia. Il tarantismo è un fenomeno interessante di trance collettiva e spontanea a scopo terapeutico, un esempio splendido di autoipnosi spontanea, con radici antichissime legate ai culti dionisiaci dell’antica Grecia.
Secondo la credenza popolare nelle campagne si trovavano ragni (tarante), il cui veleno provocava malesseri fisici invalidanti di varia natura e fenomeni isterici e/o depressivi che potevano essere guariti per mezzo di un preciso rituale, ossia solo attraverso una danza sfrenata accompagnata da ritmi e suoni prodotti dagli esperti musicisti del paese, attraverso il suono di tamburelli ed altri strumenti musicali. Erano colpite dal veleno della taranta specialmente giovani donne nubili o sposate, di solito nel periodo della mietitura quando gli impulsi vitali e sessuali erano nella fase della massima attività.
Per spiegare, la taranta, che in realtà come ragno dal potere velenoso non esiste in Puglia, provocava con il suo morso sintomi vari quali: debolezza, svenimenti, nausea, vomito, tachicardia, angoscia, depressione e ipersensibilità. Essa colpiva con il suo morso le zone genitali di donne, soggette a repressione delle pulsioni sessuali, simbolicamente fondamentali per la funzione riproduttiva. Solo la “Macara” l’esperta del paese poteva stabilire se era taranta oppure no e se la diagnosi era per la prima, allora poteva partire il complesso rito della guarigione. Tutta la comunità riconosceva alla donna morsicata un ruolo degno di compassione e rispetto, pur essendovi un alone di terrore intorno ad essa, tutta la comunità entrava nello psicodramma della tarantata ed aveva attraverso schemi assolutamente rigorosi, la possibilità di inscenare la propria segreta angoscia e di partecipare alla trance imminente.
Per il rito, si legava una fune al soffitto della stanza dove la donna giaceva e dove avrebbe ballato affinché ad essa potesse sorreggersi durante la danza sfrenata, le donne lavavano la vittima dal morso e la vestivano di bianco e la si stendeva su un lenzuolo a sua volta bianco, con accanto oggetti legati al luogo del morso, ad esempio il grano se il morso era avvenuto durante la mietitura. La famiglia della malata pagava i musicisti, spesso con i pochi risparmi di una vita, essi si disponevano in un cerchio e provavano diverse melodie per esempio “taranta libertina”, oppure “taranta triste e muta” o ancora “taranta tempestosa”, per riuscire a trovare il tipo di veleno inoculato dal ragno taranta, infine solo alla melodia giusta, corrispondente ad un ben preciso tipo di veleno, la tarantata reagiva e cominciava a ballare. In più ogni tarantata rispondeva ad un colore particolare: rosso, giallo, nero, etc., rendendo completo con l’elemento cromatico l’apporto immaginifico del rituale stesso nel quale tutti venivano immersi, ognuno nella sua specifica trans.
Il rituale di balli sfrenati si ripeteva fino allo sfinimento, per ore e ore, fino alla grazia concesso da San Paolo, attraverso l’espulsione del veleno e di conseguenza la guarigione e poteva anche durare 3 giorni consecutivi, con i suonatori che senza sosta battevano sui tamburi, con mani sanguinanti alternandosi solo per brevi pause. La madre e le donne gridavano e cercavano di proteggere la tarantata dal farsi male per la violenza della sua danza e tutta la comunità viveva la sospensione dalla realtà, una sospensione dello spazio, del tempo, un’immersione totale nel dramma di un dolore che era nelle viscere di tutti, il dramma della povertà, della faticosa sottomissione al padrone, delle infinite ore passate sotto il sole rovente a lavorare la terra, il dramma della donna che non aveva alcuna possibilità di sfuggire ad una sottomissione che prendeva una forma da noi oggi inimmaginabile.
In breve la trance portata dal rito della taranta, era l’unica possibilità di sentirsi liberi, lo stato di trans che la donna raggiungeva le permetteva di poter esprimere liberamente rabbia, tristezza, pulsione sessuale o qualunque altra emozione avesse dovuto fino a quel momento reprimere. Dalle donne ai paesani, dai suonatori ai parenti, tutti potevano uscire dalla realtà faticosa nella quale si stringevano le loro esistenze quotidiane, tutti erano dentro la trance costruita e tessuta come la tela del ragno, attraverso ogni minimo dettaglio da rigoroso rituale che partiva dal “presunto” morso, per passare attraverso la musica e la danza sfrenata, concludendosi in ultimo con la grazia cioè l’espulsione del veleno e la guarigione.
Molto spesso però, dopo il primo morso, ciclicamente c’era il ripetersi della crisi dovuta al cosiddetto “ri-morso”, perché il ragno stesso o un suo parente, l’anno successivo cercava la sua vittima nello stesso giorno e alla stessa ora per morderla nuovamante.
Una curiosità, poiché durante la “trance” le donne esibivano comportamenti di natura considerata oscena, la chiesa di San Paolo di Galatina il santo che concedeva la grazia delle guarigione alle “tarantate” dopo la cristianizzazione venne sconsacrata e San Paolo da santo protettore della taranta divenne santo della sessualità.
“si è taranta lasciala ballare …si è malinconia cacciala fora”…